IL PENSIERO DEL TRIBUNALE DI CIVITAVECCHIA NEI CASI DI RESPONSABILITÀ PER DANNI PROVOCATI DALLA COSA IN CUSTODIA EX ART. 2051 CC. A cura dell’avv. Antonio Arseni -Foro di Civitavecchia

 

La casistica giurisprudenziale dimostra come sia cospicuo il contenzioso in materia di risarcimento danni per violazione dell’art. 2051 CC, e ciò avviene anche nel circondario del Tribunale di Civitavecchia ove si continua ad assistere alla trattazione di numerose  cause che riguardano le più disparate vicende in tema di responsabilità per danni provocati dalla cosa in custodia: infortuni a motociclisti causati dalla presenza di una buca o di una macchia di olio sul manto stradale o per la viscosità dello stesso, piuttosto che ai  pedoni per le stesse ragioni; infortuni occorsi all’automobilista che, perso il controllo della propria autovettura, in ragione della assenza del manto e della copertura stradale, non segnalate né visibili, va fuori strada finendo nella scarpata a ridosso; infortuni ad un pedone che cade rovinosamente a terra per la presenza sul marciapiedi di un rialzo in cemento, residuo del basamento di una panchina non più esistente, ovvero per la presenza di un rialzo bituminoso della pavimentazione stradale asseritamente non visibile né segnalata; danni provocati alla proprietà individuale per la cattiva od omessa manutenzione di un bene condominiale.

Si tratta soltanto di  alcuni esempi, soprattutto quelli più comuni connessi alla presenza di buche nel manto stradale, ricavati da alcune sentenze del Tribunale di Civitavecchia pronunciate nel corso del 2016/ 2017, del tutto significativi per verificare il pensiero di detto Giudice e sicuramente utili ad orientamento dell’avvocato chiamato a valutare l’opportunità di introdurre una domanda risarcitoria in simili casi ed all’esito di formularla nei corretti termini per il relativo riconoscimento.

Più precisamente i suindicati casi, comuni a molti altri decisi dai Tribunali italiani, sono stati oggetto delle sentenze 1205/2016, 1430/2016, 1434/2016, 138/2017, 363/2017, 411/2015, 443/2017, 700/2017, 710/2017, tutte redatte  dal Giudice Unico Dr.ssa Febbraro.

Orbene dalla lettura di dette pronunce si può senz’altro affermare che il Tribunale di Civitavecchia , con articolate motivazioni, si pone, correttamente e consolidamente, sulla scia della più recente giurisprudenza della Corte Regolatrice sulla base di alcuni principi che possono così  di seguito sintetizzarsi.

L’ art. 2051 CC  prevede “ciascuno è responsabile del danno provocato dalla cosa in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

Ci troviamo di fronte, dunque, ad una ipotesi di responsabilità presunta per la cui operatività sono richieste due condizioni:

  1. l’esistenza di un rapporto di custodia, identificandosi lo stesso in una relazione tra la cosa e colui (proprietario, possessore, detentore) il quale ha un effettivo potere sulla stessa;
  2. il fatto che il danno lamentato sia provocato “dalla cosa” in custodia.

Fondandosi la responsabilità di cui si discorre su una relazione, per l’appunto, tra cosa e custode, deve prescindersi dal carattere colposo o dall’attività di quest’ultimo, nonché dalla pericolosità della cosa stessa.

Essendo di natura oggettiva, la responsabilità ex art. 2051 CC necessita, per la sua configurabilità, della esistenza del nesso eziologico fra cosa ed evento (cfr, ex multis, Cass. 8229/2010, Cass. 15375/2011).

Di fondamentale importanza l’inciso, nell’art. 2051 CC, “dalla cosa”; il che sta a significare, non a caso, che il danno, come autorevolmente precisato dal S.C. (v. ad esempio Cass. 5031/1998) deve, imprescindibilmente, essere provocato “per il fatto della cosa”: la cosa, cioè, non deve rappresentare mera occasione del processo produttivo del danno, ma essa stessa deve esserne la causa o concausa, per la sua intrinseca natura ovvero per l’insorgenza in essa di agenti dannosi (così Cass. 4480/2001 e 3662/2013).

Ed, invero, la giurisprudenza di legittimità negli ultimi tempi pacificamente ritiene che la presunzione opera anche quando il danno sia associato “alla cosa” in concorso con altri fattori causali. Sotto tale profilo è di tutta evidenza che non sarebbe lecito discorrere della responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 CC, allorché il danno sia provocato “con la cosa” (es. ferita provocata ad una persona con un coltello) che rappresenta tutta altra problematica, essendo il danno risarcibilie ex art. 2043 CC.

L’approccio interpretativo della giurisprudenza di legittimità, insomma, declina in direzione di un concetto, per così dire, allargato delle ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2051 CC, considerando arrecato “dalla cosa” il danno non solo “provocato dal dinamismo proprio della cosa stessa e, quindi, a causa di un suo intrinseco potere ma anche perché dovuto a causa di un agente o processo dannoso insorto od eccitato nella cosa”

In questo senso, vedasi, in particolare Tribunale di Civitavecchia sentenze 239/17, 363/17,421/17, 624/17 che aderisce ai principi espressi dal S.C. in molte pronunce  in cui si è sottolineato come la norma non richiederebbe necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura in quanto, anche in relazione alle cose prive di dinamismo proprio, sussisterebbe il dovere di custodia e di controllo.

Così, ad esempio, una donna che cade in un supermercato scivolando su delle foglie di insalata (ma può essere acqua, olio, resti di gelato come molte volte accaduto), che avevano reso il pavimento insicuro all’incedere degli avventori, ha diritto di essere risarcita per le conseguenze della caduta provocata non tanto dal dinamismo connaturato della cosa (il pavimento sostanzialmente inerte) ma dal fattore esterno o agente esterno occorso (insalata) che, per così dire, ha eccitato la cosa (il pavimento) rendendolo insicuro e, quindi, per un dinamismo o determinismo derivato dalla cosa stessa.

È appena il caso di ricordare che la più recente giurisprudenza ha posto in evidenza due importanti aspetti: da un lato il concetto di prevedibilità dell’evento dannoso, inteso come concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo; dall’altro quello del dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa, che postula un grado maggiore di attenzione, proprio perché la situazione di rischio è percepibile con l’ordinaria diligenza.

In altro senso, come affermato da Cassazione 09/03/2015 n° 4661 (conformemente a Cass. 22/10/2013 n° 23919 e Cass. 20/01/2004 n° 999), all’obbligo di custodia “fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa”, sicché quando la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile con la adozione di un comportamento ordinariamente cauto, da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento.

In definitiva, i presupposti per la operatività dell’art. 2051 CC, sono i seguenti:

  1. il danneggiato deve fornire la prova dell’esistenza del nesso causale fra cosa ed evento;
  2. il danneggiante deve avere un potere effettivo sulla cosa e la possibilità di intervenire sull’oggetto che ha provocato il danno, in modo tale e sufficiente ad evitarlo attraverso la preventiva opera di controllo e sorveglianza;
  3. il danno deve essere cagionato dalla cosa in ragione del dinamismo connaturato e/o dell’agente esterno occorso, dovendosi prescindere da ogni valutazione in ordine alla diligenza o meno del custode (si parla a proposito di rischio da custodia) ed essendo irrilevante ogni indagine sulla insidiosità della cosa stessa, in quanto l’accertamento della responsabilità in questione (di natura oggettiva) attiene alla esistenza del nesso eziologico.

La giurisprudenza della Cassazione ha ulteriormente chiarito e precisato (vedasi la sentenza 2660/2013 e soprattutto quella più recente 18462/2015) che “la prova del nesso causale è particolarmente rilevante e delicata nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o funzionamento (es. scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana sulla strada e simili) ma richiede che al modo di essere della cosa si unisca l’agire umano ed in particolare quello del danneggiato, essendo essa di per sé statica ed inerte”.

La dimostrazione del nesso di causalità deve, quindi, comprendere ogni fatto che dia contezza dell’esistenza, nella cosa, di una potenzialità dannosa intrinseca tale da giustificare la oggettiva responsabilità del custode.

Trattasi di presupposti, per l’operatività dell’art. 2051 CC, che debbono essere dimostrati dal danneggiato, al fine di poter affermare che il danno è conseguenza causale della situazione dei luoghi (così Cass. 2660/2013 richiamata dalla recente Cass. 18462/2015 pubblicata il 21/09/2015).

Tale ultima decisione spiega come non si ponga un problema di caricare sul danneggiato l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento della cosa, quanto piuttosto semplicemente di esigere la dimostrazione del collegamento tra la cosa e l’evento danno. Nella fattispecie esaminata dalla S.C. e da cui è scaturita la sentenza 18462/2015, si discuteva se un tappeto, di per sé un oggetto non intrinsecamente pericoloso, lo possa diventare attraverso un comportamento inadeguato del danneggiato tale da rompere il nesso causale. Di qui il rigetto della domanda risarcitoria di un uomo per i danni occorsigli a cagione della caduta all’interno di un esercizio commerciale, asseritamente determinata dal cattivo posizionamento di un tappeto; rigetto, per l’appunto, conseguente al non aver l’uomo dimostrato la sussistenza di un presupposto necessario per la configurabilità della responsabilità oggettiva in capo al custode, ossia il nesso di causalità.

Una volta provati, da parte del danneggiato, gli elementi costitutivi la responsabilità oggettiva, l’evento dannoso ed il nesso causale nei termini suddetti, il danneggiante può liberarsene dimostrando il caso fortuito, cioè l’esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale, escludendo la sua responsabilità (v. ex multis Cass. 25243/2006, Cass. 15389/2011, Cass 9323/2015 e, da ultimo, Cass. 5877/2016 e Cass. 5859/2018 rispettivamente in materia di eventi atmosferici straordinari come un temporale o una nevicata di forte intensità tale da uscire fuori dai normali canoni della meteorologia).

Quindi, il caso fortuito è un fattore non legato al comportamento del custode, ma alla modalità di causazione del danno. Si parla, a tal proposito, di caso fortuito incidente, a significare che la cosa partecipa alla produzione dell’evento solo come mera occasione, assorbendo il fatto esterno in modo esclusivo, la causalità dell’evento.

Nella nozione di caso fortuito, la giurisprudenza ricomprende anche il fatto del terzo o dello stesso danneggiato, come può essere la sua imprudenza o l’utilizzazione impropria del bene, la cui pericolosità sia apprezzata da chiunque (v. Cass. 10461/2002, Cass. 5236/2004, Cass. 5334/2004), o, più in generale, il comportamento dello stesso danneggiato avente una efficacia causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e l’evento o da affiancarsi come ulteriore contributo utile alla produzione del danno (Cass. 5839/2007, Cass. 8229/2010, Cass. 7125/20013, Cass. 5877/2016, Cass. 25837/2017, Cass. 18856/2017 e, da ultimo, Cass. 6034/2018).

In questo senso “quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso le normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra il fatto e l’evento” (Cass. 11946/2013, Cass. 3662/2013 e, da ultimo, Cass. 18753/2017 e Cass. 22415/2017 e da ultimo Cass. 1.2.2018 n.2483 , sul particolare dovere di cautela del danneggiato.

In tale direzione si muove il Tribunale di Civitavecchia che, nella maggior parte dei casi indicati dalle sentenze citate, ha escluso la responsabilità del custode ovvero ha ritenuto il concorso di quella del danneggiato la cui condotta imprudente e negligente è stata ritenuta capace di interrompere il nesso eziologico tra evento e danno in presenza di una situazione pericolosa (es. buca stradale) priva dei caratteri della insidia invisibile od inevitabile.

Mette conto di rilevare, a tale ultimo riguardo, come la Corte Regolatrice abbia recentemente posto in rilievo (v. Cass. 31/10/2017 n° 25837 Presidente D’Amato – Relatore Rossetti) che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente della vittima del danno da cosa in custodia, ciò non basta di per sé ad escludere la responsabilità del custode. Infatti “la condotta della vittima di un danno causato da una cosa in custodia in tanto può escludere la responsabilità del custode in quanto possa reputarsi caso fortuito; e può reputarsi tale quando fu imprescindibile da parte del custode (in tal senso v. Cass. 18/05/20015 n° 18317).

I giudizi di negligenza della vittima e di imprevedibilità della sua condotta da parte del custode non si implicano a vicenda e sono tra loro eterogenei.

La responsabilità del custode aggiunge la S.C. “è esclusa dal caso fortuito ed il caso fortuito è un evento che praevederi non potest”.

In questo senso, ai fini della responsabilità del custode, quando da quest’ultimo viene eccepita la colpa della vittima, occorre che il Giudice proceda ad un duplice accertamento:

  1. la vittima deve aver tenuto un comportamento negligente;
  2. quel comportamento non era prevedibile.

Ciò comporterebbe (così come anche affermato da Cass. 27/06/2016 n° 13272) l’importante conseguenza che la mera disattenzione della vittima non necessariamente integra il caso fortuito per i fini di cui all’art. 2051 CC in quanto il custode è tenuto a dimostrare anche di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Cfr. Tribunale di Civitavecchia 239/17)

E la “condotta della vittima di un danno da cosa in custodia, può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Milano nel giudicare l’infortunio occorso ad un Tizio – il quale mentre usciva da un ascensore condominiale inciampa nel dislivello formatosi tra il pavimento della cabina dell’ascensore e quello del piano di arresto – aveva preso in esame solo la condotta distratta della vittima (che avrebbe dovuto essere più attenta per la sue limitate capacità di deambulazione) ma senza scrutinare se quella stessa condotta potesse ritenersi imprevedibile, eccezionale ed anomala da parte del custode, dato che aveva concentrato la propria attenzione sul fatto che la formazione di detto dislivello dell’ascensore costituisse una situazione “anomala e prevedibile”, che l’ascensore non era guasto e che l’ambiente non fosse all’oscuro.

Di qui l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, alla quale veniva demandato il riesame del gravame sulla base del seguente principio di diritto: “la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia, può costituire un caso fortuito, ed escludere integralmente la responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 CC quando abbia due caratteristiche: sia stata colposa e non fosse prevedibile da parte del custode”.

Marzo 2018 – Avv. Antonio Arseni – Foro di Civitavecchia