SINISTRO STRADALE CAUSATO DAL FENOMENO DELL’AQUAPLANING: INSUSSISTENZA DEL RAPPORTO DI CAUSALITA’ (Cass. Penale Sezione 4 nr. 1229 del 12.01.2018) A cura dell’ Avv. Andrea Vecchiotti -Foro di Civitavecchia

 

“In punto di diritto è stata ritenuta legittima la sentenza che ha escluso la responsabilità penale dell’imputato per i danni e la morte causati ad altri utenti della strada in quanto la perdita di controllo dell’autovettura, su cui era alla guida, era da attribuirsi alla presenza di una enorme pozzanghera sulla sede stradale che faceva fare aquaplaning alla vettura e che costituiva un ostacolo del tutto imprevedibile ed eccezionale.”

È questa la decisione presa recentemente dalla Suprema Corte, Sezione quarta Penale (Presidente Romis – Relatore Costantini) con cui i Giudici di legittimità hanno confermato la sentenza di assoluzione dell’imputato, emessa dalla Corte di Appello Penale di Napoli nel 2016, per l’insussistenza del fatto, pronunciata in relazione al reato di cui all’at. 590 c.p. contestato per aver cagionato, in violazione delle norme del codice della strada, lesioni personali ed il decesso di due soggetti presenti sulla sede stradale a seguito di un incidente.

Secondo la ricostruzione dei fatti ed in base alle risultanze istruttorie del primo grado, il sinistro si verificava in quanto Tizio percorreva a bordo della propria autovettura una strada statale e perdeva il controllo del veicolo a causa della scarsa visibilità e degli allagamenti provocati dalle forti piogge intervenute nel corso della giornata. In tali circostanze di tempo e di luogo, veniva a tamponare altra autovettura, condotta da Caio.

A seguito dell’impatto, la vettura di Tizio si disponeva trasversalmente sulla carreggiata invadendo, altresì, parte della corsia di emergenza. Sopraggiungeva, nel frattempo, altra autovettura condotta da Mevio la quale investiva sia Tizio che Caio, nel frattempo scesi dalle rispettive autovetture al fine di valutare i danni occorsi a seguito del sinistro, cagionando lesioni personali gravi al primo ed il decesso del secondo.

Pertanto, al conducente del veicolo sopraggiunto venivano contestati i reati di omicidio colposo ai danni di Caio e di lesioni colpose ai danni di Tizio, mentre nei confronti di quest’ultimo si procedeva solamente per il reato di lesioni nei confronti di Caio.

Il giudice di prime cure, a seguito della istruttoria, riteneva che il sinistro fosse, invero, causalmente riconducibile, in via esclusiva, alla presenza sulla sede stradale dell’enorme pozzanghera che aveva occupato sia la corsia di sorpasso sia parte della corsia di emergenza ed era tale da costituire un ostacolo del tutto imprevedibile ed eccezionale, idoneo ad interrompere il nesso causale tra le condotte poste in essere dagli imputati e gli eventi lesivi. Emetteva pertanto sentenza di assoluzione con formula “perché il fatto non sussiste”.

La sentenza di secondo grado confermava tale decisione, condividendone la motivazione e le conclusioni raggiunte alla stregua del materiale probatorio acquisito.

Con ricorso per Cassazione, veniva impugnata, da Tizio (l’imputato che aveva subito lesioni colpose), la sentenza di secondo grado, eccependo, tra gli altri, il fatto che, a prescindere dalla prima fase del sinistro che aveva coinvolto i due autoveicoli, era certo che nelle ore precedenti vi fosse stato un forte temporale e, secondo quanto emerso dalle deposizioni testimoniali, l’imputato di omicidio colposo percorreva abitualmente quel tratto di strada, che, a causa del cattivo stato di manutenzione, era connotato dalla presenza di pozzanghere e allagamenti frequenti. Ciò portava alla conclusione che lo stesso ben conoscesse il tratto di strada e le sue insidiosità, ma, nonostante ciò, ometteva di ridurre la velocità; per tale motivo, il contatto delle ruote della vettura con l’acqua ne faceva perdere ogni controllo, tanto che la stessa, in maniera improvvisa e violenta, colpiva entrambi i pedoni che si trovavano sulla corsia di emergenza ed indossavano i giubbotti fluorescenti. Per tali motivi, la sentenza sarebbe stata, secondo la difesa del ricorrente, incongrua ed immotivata relativamente all’esclusione di ogni responsabilità nella condotta di guida dell’imputato per omicidio colposo.

In tutta altra direzione, però, virava l’orientamento dei Giudici di Legittimità. Gli stessi, infatti, partendo dalla linea argomentativa delle due conformi pronunce di merito, hanno rilevato come, a seguito delle consulenze tecniche esperite, non sia stato possibile affermare con certezza che l’imputato stesse viaggiando ad una velocità superiore a quella consentita o avesse tenuto una condotta di guida non conforme a quella prevista dal Codice della Strada. D’altronde, anche le prove testimoniali assunte non avevano potuto contribuire all’affermazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della condotta colposa degli imputati, in quanto gli stessi testi potevano riferire solamente sulle condotte verificatesi successivamente al sinistro e non sulla dinamica dello stesso.

Per tali motivi, la Corte ha confermato che il giudice di primo grado non poteva trarre il convincimento che l’evento verificatesi fosse casualmente riconducibile ad una condotta colposa dell’imputato, trovando altresì spazio la configurabilità di un fattore imprevedibile quale quello dell’allagamento della sede stradale.

E qui gli Ermellini introducono il concetto che si sta esaminando: gli stessi infatti ritengono la palese logicità della conclusione raggiunta dal giudice di prime cure in ordine alla attribuibilità degli eventi a tale fattore eccezionale ed imprevedibile che aveva determinato il fenomeno cosiddetto dell’“aquaplaning” idoneo, per se stesso , ad interrompere il collegamento tra la condotta dell’imputato e l’evento occorso.

Proseguono poi i Giudici di Piazza Cavour rilevando che “le cause sopravvenute idonee a escludere il rapporto di causalità non sono solo quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall’agente, bensì anche quei fatti sopravvenuti che realizzano una linea di sviluppo del tutto anomala ed imprevedibile sulla condotta antecedente”.

Si annota, infine, come la Suprema Corte precisi, preliminarmente, quali siano i limiti del controllo di legittimità sulle sentenze di merito. Infatti, il controllo della Corte di Cassazione sulla motivazione delle sentenze di merito non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice precedente, bensì è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendano insindacabile, ovvero l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

(Avv. Andrea VECCHIOTTI)