La inammissibilità dell’appello in difetto della specificità dei motivi richiesti dal novellato art.342 CPC (Cass.19-03.2019 n. 7675). Sulla soglia della specificità dell’atto di appello avverso le sentenze di mero rito ( Cass.24.04.2019 n. 11197) A cura dell’Avv. Renato Arseni – Foro di Civitavecchia

La Corte Regolatrice nei primi mesi del corrente 2019 è stata chiamata a riesaminare la questione, assai ricorrente, relativa alle modalità di proposizione dell’atto di appello avverso una sentenza sfavorevole di primo grado, che spesso si traduce in un ulteriore esito negativo, per la parte già soccombente, per il semplice fatto di aver male formulato l’atto di gravame.

L’argomento, dunque, riveste una rilevante importanza per l’operatore del diritto, attesa la esigenza a che sia garantita al cliente una adeguata difesa a tutela delle proprie ragioni.

Orbene nella prima delle decisioni indicate in epigrafe (Cass. 7675/2019) i Giudici di Piazza Cavour ricordano che Il vigente art. 342, comma 1, c.p.c., non diversamente dall’art. 434, comma 1, c.p.c. per il rito del lavoro, deve essere interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo Giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale, come mezzo di gravame a critica libera, mantiene inalterata la sua diversità rispetto alle impugnazioni e critica vincolata

L’occasione per ribadire il principio già affermato dalle S.U. della Cassazione con la sentenza 16/11/2017 n° 2719, è stata data da un caso in cui si era discusso, nella fase di merito, della esistenza di un rapporto di fornitura fra una ditta individuale ed una società di capitali, da cui era scaturito un credito di euro 600,00 della prima che le aveva permesso di ottenere, dal Tribunale di Alba, un decreto ingiuntivo nei confronti della seconda , la quale lo opponeva, negando di aver avuto la merce e che la firma apposta sui documenti di trasporto era riferibile a persona non identificabile, con conseguente non necessità di espresso disconoscimento. Rigettata la opposizione ed interposta impugnazione dalla società, la Corte di Appello di Torino ribaltava detta statuizione, revocando il decreto ingiuntivo. La vicenda approdava in Cassazione, su ricorso della ditta individuale, affidato a due motivi: qui interessa il primo attraverso cui veniva denunciata, per l’appunto, la violazione degli art.112 e 342, comma 1 CPC in relazione all’art. 360 n.4 CPC, tenuto conto che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello per difetto di specificità dei relativi motivi.

In buona sostanza, secondo il ricorrente, l’appello doveva ritenersi inammissibile in quanto “ si era limitato alla critica distruttiva, senza proporre alcuna ricostruzione del fatto, senza prendere in analitica rassegna il ragionamento probatorio del primo giudice, le emergenze di prova, le presunzioni e le conclusioni che possono trarsi dal notorio”.

Gli Ermellini dichiaravano manifestamente infondato il motivo di gravame sulla base del sopraindicato principio di diritto da cui, reputava il Collegio, doveva discendere l’ulteriore specificazione interpretativa da enunciarsi nei seguenti termini: “ non può considerarsi aspecifico il motivo di appello il quale esponga il punto sottoposto al riesame d’appello, in fatto ed in diritto, in maniera tale che il giudice d’appello sia posto in condizione (senza la necessità di esplorare, in assenza di parametri di riferimento, la congerie delle vicende processuali) di cogliere natura, portata e senso della critica, non occorrendo, tuttavia, che l’appellante alleghi e, tantomeno riporti, dettagliatamente le emergenze di causa rilevanti, le quali risultino investite ed evocate non equivocamente dalla censura, diversamente da quel che è previsto per la impugnazione a critica vincolata

Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto essere indubbio che l’appello avesse “superato la soglia della specificità, avendo l’appellante individuato il punto della decisione reputato ingiusto, precisandone il presupposto fattuale e la sussunzione giuridica, tanto che la critica non solo viene intesa dalla Corte locale, ma addirittura condivisa, non potendosi onerare l’impugnante della trascrizione di tutte le emergenze di causa, trattandosi di risultanze già poste nella piena disponibilità del giudice di Appello, in base al principio devolutivo, che, pur con i limiti derivanti dal modello impugnatorio dell’appello (tantum devolutum quantum appellatum), resta paradigma portante; giudice al quale l’appellante si era rivolto al chiaro scopo, contestando le valutazioni probatorie del Tribunale, di esprimere opposto convincimento a riguardo dell’assolvimento dell’onere della prova da parte dell’attore”

Come già accennato, la sentenza in commento si pone in linea con le indicazioni delle S.U. della Cassazione 16.11.2017 n.27199 e della successiva giurisprudenza di legittimità e di merito citandosi, da ultimo ed ex pluribus, Cass.27.06.2018 n. 16914, Cass. 23.11.2018 30450, Corte di Appello Firenze 18.09.2018 n. 2093, Corte di Appello Milano 22.10.2018 4556, Corte di Appello Roma 16.11.2018 n. 7225, Corte di Appello Bari 05.02.2019 n. 125, Corte di Appello Catanzaro 20.02.2019 n.355 .

Le indicazioni fornite dalla dottrina e dalla giurisprudenza che consentono il superamento della c.d. soglia di ammissibilità dell’atto di appello, in conclusione possono così compendiarsi.

1) Il nuovo testo dell’art. 342 c.p.c., licenziato sulla base della recente riforma del 2012, esige che le questioni ed i punti della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze. Ragion per cui, laddove il punctum dolens della pronuncia si rinvenga nella ricostruzione del fatto, esso deve essere indicato con la necessaria chiarezza, così come l’eventuale violazione di legge.

2) Nell’atto di appello deve affiancarsi alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti le ragioni addotte dal primo Giudice. La maggiore o minore ampiezza e specificità delle doglianze ivi contenute sarà pertanto diretta conseguenza della motivazione assunta dalla decisione di 1° grado.

3) L’atto di appello potrà anche consistere, con i dovuti adattamenti, in una ripresa delle linee difensive di primo grado, laddove le argomentazioni della sentenza impugnata dimostrino che la tesi della parte non era stata effettivamente vagliata. È logico che la puntualità del Giudice di primo grado, nel confutare determinate argomentazioni, richiederà una più specifica e rigorosa formulazione dell’atto di appello, che dimostri insomma di aver compreso quanto esposto dal Giudice di primo grado offrendo spunti per una decisione diversa.

4) Purtuttavia, l’individuazione di un “percorso logico alternativo a quello del primo Giudice”, non dovrà necessariamente tradursi in un “progetto alternativo di sentenza”; il richiamo, contenuto nei citati artt. 342 e 434, CPC alla motivazione dell’atto di appello non implica che il legislatore abbia inteso porre a carico delle parti un onere paragonabile a quello del Giudice nella stesura della motivazione di un provvedimento decisorio. Quello che viene richiesto – in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata – è che la parte appellante ponga il Giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo Giudice ed indicando il perché queste siano censurabili.

5) Tutto ciò, inoltre, senza che all’appellante sia richiesto il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate. Ed invero la riforma del 2012 non ha trasformato l’appello in un mezzo di impugnazione a critica vincolata. L’appello è rimasto una revisio prioris instantiae; ed i Giudici di secondo grado sono chiamati in tale sede ad esercitare tutti i poteri tipici di un giudizio di merito, se del caso svolgendo la necessaria attività istruttoria, senza trasformare l’appello in una sorta di anticipato ricorso per Cassazione.

La seconda decisione della S.C. (11197/2019) chiarisce quali debbano essere le modalità di proposizione dell’atto di appello, con riferimento alle istanze istruttorie non esaminate nella ipotesi particolare in cui la sentenza di primo grado definisce il relativo giudizio accogliendo la eccezione di incompetenza territoriale senza entrare nel merito della controversia.

Il caso di specie, per l’appunto,, aveva riguardato una causa di risarcimento danni conseguenti ad un sinistro nel quale due veicoli, scontrandosi, erano andati a collidere contro un locale terreno di proprietà dell’attore Tizio, provocando vasti danni. Il giudice di pace di Napoli , da quest’ultimo adito,si dichiarava territorialmente incompetente mentre il Tribunale della stessa città opinava il contrario e , decidendo nel merito la controversia, rigettava la domanda proposta da Tizio, condannandolo alle spese del grado sulla base della dichiarata inammissibilità delle prove orali richieste nell’atto di appello in quanto formulate per relationem,con riguardo al giudizio di primo grado, anziché essere precisamente dedotte in capitoli separati e specifici.

Orbene, l’interrogativo sottoposto alla Cassazione, presso cui Tizio impugnava la sentenza del Tribunale partenopeo, censurandone la prognosi di inammissibilità, è se una pronuncia in rito (come quella di incompetenza per territorio del giudice adito) impone o meno all’appellante di riprodurre tutte le richieste istruttorie già formulate in primo grado.

Ad avviso della S.C. la risposta deve essere negativa con conseguente fondatezza del motivo del ricorso in Cassazione.

Ed invero, chiarisce la Corte Regolatrice, con la pronuncia in commento, che a seguito della riforma della decisione di incompetenza per territorio, adottata dal giudice di secondo grado, in base all’effetto devolutivo dell’appello, lo stesso giudice è investito di tutte le questioni già formulate in prime cure, indipendentemente dal fatto che esse siano o meno ritrascritte specificamente in appello, dal momento che il giudizio deve ripartire proprio dal primo grado.Non essendosi, nella specie, svolto il giudizio di primo grado a causa della suddetta declinatoria di competenza, il principio di specificità dei motivi di impugnazione, di cui sopra si è detto, – che generalmente richiede la riproposizione delle istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, non essendo sufficiente il mero rinvio agli atti del giudizio di prime cure- non trova applicazione perché non si versa in un caso di impugnazione in senso stretto, non avendo il giudizio di primo grado avuto alcuno svolgimento in conseguenza della declinatoria della competenza territoriale.

Aggiunge la S.C. che “ l’appello, nei limiti dei motivi di impugnazione, è un giudizio sul rapporto controverso e non sulla correttezza della sentenza impugnata, rispetto ad esso, quindi, non è concepibile alcun requisito di autosufficienza ma solo di specificità e, pertanto, l’appellante, che intenda dolersi del rigetto in primo grado delle sue istanze istruttorie, non ha l’onere di trascriverle nell’atto di appello. La specificità dei motivi di appello presuppone la specificità della motivazione della sentenza impugnata, sicché ove manchi quest’ultima, dall’appellante non è esigibile altro onere che riproporre la istanza o la domanda immotivatamente rigettata”

Giugno 2019. Avv. Renato Arseni -Foro di Civitavecchia