SULLA MEDIAZIONE IMMOBILIARE E SUL DIRITTO DEL MEDIATORE ALLA PROVVIGIONE (Tribunale di Civitavecchia 29/03/2017 n° 313). A cura dell’Avv. Antonio Arseni- Foro di Civitavecchia

Con una articolata e puntuale decisione (29/03/2017 n° 313, Giudice Dr.ssa Pegorari) il Tribunale di Civitavecchia interviene su un tema, più volte affrontato dalla giurisprudenza, quale quello relativo al compenso provvigionale che spetterebbe (o non) al mediatore immobiliare una volta favorito l’accordo tra le parti, propedeutico alla conclusione della vendita poi effettivamente rogata a seguito peraltro (nella specie) di un contratto preliminare tra le stesse.

Di seguito il principio, assolutamente condivisibile, che si ricava dalla sentenza in questione,  espresso conformemente alle indicazioni nomofilattiche della S.C.: “Il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in  rapporto causale con l’attività mediatrice, senza che sia richiesto un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, essendo sufficiente che il mediatore – pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo – abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata. Le momentanee battute di arresto nelle trattative, quali la mancata iniziale erogazione del mutuo all’acquirente che lo aveva determinato a ritirare la proposta di acquisto, sono del tutto idonee ad incidere sulla efficacia causale dell’opera del mediatore nella conclusione dell’affare”.

Il caso deciso dal Tribunale di Civitavecchia aveva riguardato l’azione di un mediatore immobiliare che, avuto da Tizio l’incarico scritto (N.B) di procurare una vendita del proprio immobile sito in Cerveteri, era riuscito in effetti, in seguito ad una attività di pubblicizzazione del bene, concretizzatasi anche attraverso due visite dello stesso, a trovare un soggetto interessato (Caio) all’acquisto. Quest’ultimo formulava nei confronti del proprietario del bene (Tizio) una proposta irrevocabile di acquisto del bene, impegnandosi a riconoscere al mediatore una provvigione pari al 3% del prezzo complessivo della vendita, pari ad € 165.000,00 così come indicato nella proposta.

La proposta formulata da Caio veniva accettata da Tizio. Questi, però, asserendo di non aver più avuto notizie in merito all’esito di una pratica di accensione di un muto, riteneva scaduta la proposta in precedenza formulata, con effetti liberatori da ogni impegno assunto con il mediatore, tanto da ritirare l’assegno consegnatogli a suo tempo.

Quello che succede poi rappresenta un classico nelle vicende, come quella de qua, che ciclicamente vengono portate alla cognizione del Giudice ordinario: Tizio e Caio vendono effettivamente l’immobile e l’agente immobiliare solo dopo viene a conoscenza della circostanza, probabilmente con un certo disappunto, come spesso avviene in analoghi casi in cui, talvolta, il comportamento delle parti disvela il tentativo di “aggirare” il diritto alla provvigione spettante al mediatore.

Nel caso scrutinato dal Tribunale di Civitavecchia risulta, dalla ricostruzione dei fatti operata in sentenza, che in effetti l’atto di compravendita rogato da Tizio e Caio doveva essere ricondotto alla attività mediatoria dell’agente immobiliare essendosi posta la conclusione dell’affare in rapporto causale con l’opera dallo stesso svolta: condizione sufficiente per il sorgere del diritto alla provvigione considerato che la mediazione dà vita ad una obbligazione di risultato ex art. 1755 CC.

L’art. 1754 CC, infatti, pur non fornendo una definizione del contratto di mediazione, indica nel mediatore proprio “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza. Combinando tale norma con l’art. 1755 CC (secondo cui “il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”), si comprendono chiaramente le caratteristiche della mediazione.

Ed, invero: 1) essa è posta in essere per l’appunto tra un mediatore senza necessità di apposito incarico (nel caso deciso dal Tribunale vi è stato, in effetti, un incarico riconducibile allo schema del mandato ex art. 1703, ma pur sempre configurante una mediazione, c.d. atipica, come infra argomentato) in assenza di vincoli ed in posizione di imparzialità e neutralità tra le parti; 2) essa non ha natura negoziale (almeno la mediazione tipica) essendo i suoi effetti determinati dal legislatore e non sulla base di un vero e proprio contratto, sotto tale profilo essendo, quindi, ascrivibile a quell’istituto particolare, di creazione pretoria, del c.d. contatto sociale qualificato, idoneo ad assurgere a fonte di obbligazione ex art. 1173 c.c. poiché compiuto da soggetto iscritto all’apposito Albo degli Agenti di affari di mediazione, di cui all’art. 2 L. 38/89, in grado di ingenerare un legittimo affidamento nelle parti, per il suo carattere professionale, e sulla corretta esecuzione dell’attività mediatoria; 3) essa dà vita ad una obbligazione di risultato, come visto, atteso che il diritto alla provvigione è condizionato alla conclusione dell’affare cui l’attività è stata preordinata; 4)  essa comporta l’obbligo di pagamento della provvigione da parte di entrambe le parti, proprio in ragione di quella equidistanza tra il mediatore e le stesse che connota l’attività mediatoria stessa.

Le superiori osservazioni ci consentono di introdurre brevemente il tema della differenza ontologica, nell’ambito del rapporto mediatorio, tra mediazione tipica (o ordinaria) e mediazione atipica, che trova la sua fonte in una volontà negoziale delle parti come nel caso esaminato dal Tribunale di Civitavecchia.

Ed, invero, le caratteristiche sopra indicate qualificano l’attività svolta alla stregua di una mediazione tipica od ordinaria che è poi quella  positivista negli artt. 1754 e segg. CC.

Ma accanto alla mediazione ordinaria la giurisprudenza ha ritenuto dover riconoscere la ricorrenza di una mediazione atipica che si fonda su un contratto a prestazione corrispettiva con cui una parte, volendo concludere un affare, incarica  altri di svolgere una attività volta alla ricerca di persone interessate alla conclusione del medesimo affare.

Tale mediazione, riconducibile allo schema negoziale del mandato previsto dall’art. 1703 CC, può essere unilaterale, allorché il mediatore riceve espresso incarico (ad acquistare o vendere) da una delle parti del rapporto negoziale, o bilaterale se a conferire il mandato sono entrambe le parti.

Sintetizzando, può dirsi che ciò che caratterizza la mediazione atipica, differenziandola da quella ordinaria è: 1) lo svolgimento da parte del mediatore di una determinata attività in esecuzione di un incarico divenendo, pertanto, un mandatario laddove nella mediazione tipica detta attività è posta in essere senza assunzione di obblighi rimanendo, il mediatore equidistante ed imparziale da entrambe le parti; 2) la natura negoziale del rapporto, regolato dalle norme generali sul mandato oltre che dal contratto predisposto dalle parti, in ossequio al principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 CC, applicabile alle figure in esame per espressa derogabilità della disciplina codicistica ; 3) la circostanza che il diritto alla provvigione matura solo nei confronti del mandante rispetto al quale il mediatore è contrattualmente vincolato sulla base del combinato disposto dagli artt. 1372, 1709 e 1720 CC.

Tale la conclusione cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità attraverso un consolidato orientamento che può essere riscontrato soprattutto nelle decisioni della Corte Regolatrice 17066/2006, 8374/2009, 16147/2010, 4745/2014. La giurisprudenza di merito non è da meno, citandosi esemplificativamente Tribunale di Vicenza 982/2014, Tribunale di Roma 14767 e 17924 del 2014, Tribunale di Firenze 78/2015, Tribunale di Torino 3341/2016, Tribunale di Milano 10120/2016, Corte Appello Milano 2378/2015 (tutte pubblicate Sole24ore Mass. Rep. Lex 24) nonché ancora Tribunale di Roma 12196/2016 e Corte di Appello di Palermo 58/2016 (entrambe in Redazione Giuffrè De Jure 2016).

È importante rammentare che in subiecta materia è nuovamente intervenuta da ultima la Cassazione con la decisione 06/12/2016 n° 24950,  la quale ha indicato quale sia il proprio pensiero circa le compatibilità tra le figure del mandato e della mediazione in cui il primo sarebbe sussumibile.

Orbene , la S.C. con la appena citata pronuncia, aderendo all’orientamento maggioritario, ha ritenuto che la mediazione debba essere distinta dal conferimento di un mandato poiché essa dà diritto al compenso (provvigione), ex art. 1755 CC, solo se l’affare è concluso mentre il mandato è semplice attività (negoziale o pre-negoziale) nello interesse del mandante.

La differenza che ne deriva è che mentre il mandatario ha l’obbligo di eseguire l’incarico ricevuto ed ha diritto a ricevere il compenso pattuito indipendentemente dal risultato raggiunto, il mediatore ha la mera facoltà di attivarsi per mettere in relazione le parti ed ha diritto alla provvigione solo se provoca la conclusione dell’affare. E ciò per quanto attiene la struttura dei rispettivi rapporti mentre con riguardo alla natura si è precisato (v. Cass. 15/06/1988 n° 4082, Cass. 18/02/1998 n° 1719, Cass. 27/02/2002 n° 9380, Cass. 07/04/2005 n° 7251, Cass. 30/09/2008 n° 24333) che, mentre nel mandato l’attività cui il mandatario si obbliga consiste nel compimento di atti giuridici, e cioè una attività negoziale che fa del mandatario un cooperatore giuridico fra le parti, nella mediazione l’attività del mediatore è costituita da un comportamento materiale, diretto a mettere in contatto due o più parti al fine di far concludere tra le stesse un contratto, attività che fa del mediatore un cooperatore soltanto materiale delle parti.

La distinzione è importante in quanto, a seconda che il mediatore agisca senza mandato sulla base della generale previsione dell’art. 1754 CC, ovvero quale incaricato mandatario, muta il regime della sua responsabilità, nel primo caso il mediatore è comunque tenuto all’obbligo di comportarsi in buona fede, in virtù della clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 CC, estrinsecantesi in special modo nell’obbligo di una corretta informazione, tra cui la comunicazione di tutte le circostanze non solo note ma anche conoscibili sulla base della diligenza qualificata ex art. 1176 co. 2 CC, vertendosi in tema di attività professionale, per come anche previsto dalla L. 39/1989. Tale obbligo di correttezza sussiste a favore di entrambe le parti, messe a contatto ai fini della conclusione dell’affare.

Il mediatore immobiliare, quindi, dovrà sempre comunicare alle parti l’eventuale stato di insolvenza di una di esse, l’esistenza di iscrizioni o pignoramenti sul bene oggetto dell’affare, la presenza di prelazioni, opzioni o qualsivoglia ulteriore circostanza di fatto o di diritto a sua conoscenza, ostativa dell’affare.

L’interrogativo posto dagli operatori del diritto è se la mediazione debba considerarsi incompatibile con il mandato. Secondo il Tribunale di Civitavecchia la risposta deve essere positiva, facendo proprio il risalente e noto precedente della Cassazione 14/07/2009 n° 16382, in quanto la fattispecie di mediazione prevista dal Codice Civile ha natura non contrattuale; ogni altra ipotesi c.d. contrattuale sarebbe da inquadrarsi nella fattispecie del contratto di mandato. L’argomento che milita a favore di detta tesi risiederebbe nella circostanza che nei contratti standard di mediazione immobiliare si indica, nella maggior parte dei casi, un mandato o incarico a vendere o ad acquistare beni immobili e, dunque, il mediatore agisce non sulla base di un comportamento di mera messa in contatto tra due o più soggetti per la conclusione di un affare (attività giuridica in senso stretto che prescinde da un sottostante titolo giuridico) ma proprio perché incaricato da una o più parti ai fini della conclusione dell’affare(generalmente in ordine alla vendita o acquisto di un immobile). In tal caso risulterebbe evidente, secondo la S.C., che l’attività del mediatore mandatario è conseguente ad un obbligo di tipo contrattuale (e dunque ex art. 1173 CC, questa volta riconducibile al contratto come fonte di obbligazioni).

La superiore conclusione sarebbe evidente, infine, per due ulteriori circostanze: a) per effetto della Legge 39/1989 istitutiva del ruolo dei mediatori, laddove viene prevista una terza sezione dedicata agli agenti muniti di mandato a titolo oneroso; b) per effetto dell’art. 1761 CC che prevede le possibilità che una delle parti incarichi il mediatore di rappresentarla negli atti relativi alla esecuzione del contratto.

Di qui il principio di diritto affermato da Cassazione 16382/2009 (citato dal Tribunale di Civitavecchia) che integralmente si riporta.

Il conferimento ad un mediatore professionale dell’incarico di reperire un acquirente od un venditore di un immobile dà vita ad un contratto di mandato e non di mediazione, essendo quest’ultima incompatibile con qualsiasi vincolo tra il mediatore e le parti. Da ciò consegue che nell’ipotesi suddetta il c.d. “mediatore”: a) ha l’obbligo, e non la facoltà, di attivarsi per la conclusione dell’affare; b) può pretendere la provvigione dalla sola parte che gli ha conferito l’incarico; c) è tenuto, quando il mandante sia un consumatore, al rispetto della normativa sui contratti di consumo di cui al D.lgs. n° 206 del 2005; d) nel caso di inadempimento dei propri obblighi, risponde a titolo contrattuale nei confronti della parte dalla quale ha ricevuto l’incarico, ed a titolo aquiliano nei confronti dell’altra parte.

La mediazione tipica, disciplinata dagli artt. 1754 e seguenti c.c., è soltanto quella svolta dal mediatore in modo autonomo, senza essere legato alle parti da alcun vincolo di mandato o di altro tipo, e non costituisce un negozio giuridico, ma un’attività materiale dalla quale la legge fa scaturire il diritto alla provvigione. Tuttavia, in virtù del “contatto sociale” che si crea tra il mediatore professionale e le parti, nella controversia tra essi pendente trovano applicazione le norme sui contratti, con la conseguenza che il mediatore, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile nell’adempimento degli obblighi di correttezza ed informazione a suo carico, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., e di non aver agito in posizione di mandatario”.

Con la ultima sentenza in materia, pubblicata il 06/12/2016 n° 24950, i Giudici di Palazzo Cavour negano, sulla base di un indirizzo maggioritario della giurisprudenza di legittimità (v. ex multis Cass. 30/09/2008 n° 24333), che la mediazione sarebbe incompatibile con il mandato.

Si afferma, in particolare, in detta decisione che la mediazione va sicuramente distinta dal mandato sulla base delle caratteristiche sopra evidenziate, purtuttavia la distinzione concettuale fra le due categorie giuridiche “non esclude l’oggettiva prossimità pratica delle due situazioni per la confluenza su un medesimo piano di due rapporti, l’uno interno e l’altro esterno”.

Secondo la Corte Regolatrice la circostanza che “colui il quale si assume mediatore non si sia automaticamente interposto tra le parti ma abbia ricevuto da una sola di esse l’incarico di reperire un contraente per un determinato affare (il che sostanzia l’ipotesi, come visto, della mediazione atipica) non muta la natura mediatoria dell’attività svolta ove riconosciuto od oggettivamente riconoscibile come tale dall’altra parte”.

In questo senso non vi sarebbero ragioni di inconciliabilità tra mediazione e mandato e quest’ultimo, “allorché conferito per reperire possibili contraenti può coordinarsi con il fenomeno mediatorio senza per questo escluderlo”.

Ciò significa che non assume importanza il momento genetico del rapporto mediatorio essendo indifferente che la mediazione sia stata innescata da una iniziativa ingerente (mediazione tipica) o dall’incarico di uno dei soggetti interessati a negoziare.

Infatti l’incarico a svolgere la mediazione, attività che il mediatore svolgerebbe di propria iniziativa, può originare da un mandato interno con una delle parti, che tuttavia non muta l’attività che il mediatore svolge ai fini della conclusione dell’affare.

Ciò che qualifica il rapporto, in conclusione “è soltanto la comune volontà delle parti a dare vita ad un rapporto obbligatorio che, in relazione ad un dato oggetto, imponga un agere necesse consistente nel ricercare un possibile contraente”.

È in definitiva nella dinamica negoziale delle parti, mercé anche il principio della autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 cc, che vanno individuati i diritti ed obblighi tra le parti stesse, nulla vietando che esse, in forza di un incarico mediatorio, dall’una conferito all’altra, possono prevedere che il compenso sia dovuto allorché il mediatore abbia reperito un contraente disposto ad un determinato affare. Ed è proprio alla dedotta evoluzione negoziale inter partes che fanno riferimento, fondamentalmente per la realizzazione dei suddetti effetti, altre decisioni della Corte Regolatrice come, ad esempio, quella del 08/07/2010 n° 16147 e, più di recente, quella del 27/02/2014 n° 4745.

Ritornando al caso deciso dal Tribunale di Civitavecchia, giustamente il Giudice ha riconosciuto il diritto alla provvigione a favore del mediatore professionale, del quale è stata accertata la regolare iscrizione allo specifico albo di cui alla L. 39/1986, sulla base sia di un contratto di mandato sia in ragione della effettiva attività di intermediazione svolta dalla Agenzia a favore dell’acquirente, avendo essa provveduto a far visionare l’immobile ed a ricevere da Caio (acquirente) l’offerta irrevocabile di acquisto e l’assegno a titolo di caparra: offerta peraltro accettata dalla venditrice sempre attraverso l’Agenzia immobiliare.

In tale contesto, le eccezioni delle parti che avevano rogato l’atto di compravendita “scavalcando”, per così dire, l’Agenzia, cui si erano affidati per la vendita dell’immobile de quo, dovevano ritenersi prive di pregio in quanto il mediatore aveva posto in essere un intervento determinante, secondo i principi della causalità adeguata, la conclusione dell’affare.

Ed infatti, nel caso di specie, non poteva assumere alcun significato la circostanza che il conferimento dell’incarico fosse limitato nel tempo in quanto era risultato pacifico che il mediatore avesse procurato al venditore il soggetto interessato all’acquisto ancorché materialmente il preliminare di vendita fosse stato stipulato il 13/10/2006 successivamente alla scadenza del mandato (30/09/2006).

Per concludere, è bene rammentare che il termine “conclusione dell’affare”, secondo una stratificata giurisprudenza, ha un significato più ampio di quello di contratto, comprendendo ogni operazione di contenuto economico risolventesi in una utilità di carattere patrimoniale, ossia di un atto in virtù del quale viene costituito un vincolo che conferisce la possibilità di agire per l’inadempimento dei patti raggiunti o, in mancanza, per il risarcimento del danno (v. ex multis Cass. 7994/2009).

 

Giugno 2017 – Avv. Antonio Arseni – Foro di Civitavecchia