SULLE CONDIZIONI PER IL RICONOSCIMENTO DEL DANNO ESISTENZIALE. NO ALLO SCONVOLGIMENTO “DELL’AGENDA QUOTIDIANA” (Cass. 29/01/2018 n° 2056) A cura dell’ Avv. Antonio Arseni – Foro di Civitavecchia

 

E’ noto come risulti costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità, in materia di danno non patrimoniale,  il pricipio secondo cui “ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta Costituzionale, si caratterizza per la sua doppia dimensione del danno relazione/proiezione esterna dell’essere (per l’appunto il danno esistenziale) e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza: due dimensioni del danno per l’appunto “ontologicamente differenziate l’una dall’altra, non sovrapponibili sul piano fenomenologico, necessariamente indagabili, caso per caso, quanto alla loro concreta (e non automatica) predicabilità e conseguente risarcibilità”(v. ex pluribus, Cass.18641/11, Cass. 24082/11, Cass.20292/12,  Cass. 22585/12, Cass. 9231/13, Cass. 1361/14 Cass. 9320/15, Cass.11851/15, Cass. 4379/16, Cass.7766/16, Cass.27229/17, Cass. 901/18)

In tale prospettiva ha più volte precisato la S.C. che “non esistendo una tabella universale della sofferenza umana, che è scevra da qualsivoglia automatismo, sarà compito (arduo) del Giudice valutare caso per caso, sulla base degli elementi messi a sua disposizione dalle parti, così spostandosi la questione sul piano della allegazione e della prova del danno”.

In tal senso declina la sentenza in commento la quale ha il pregio di aver  precisato l’area del danno esistenziale risarcibile contribuendo a fornire all’interprete esaustive indicazioni sulla  differenza fra una domanda che sostanzia una duplicazione risarcitoria (inammissibile) ed una domanda riferita ad un fatto lesivo che merita l’integrale ristoro del pregiudizio a favore di colui che lo ha subito. Questo è il tema centrale affrontato nelle sentenze della Cassazione  a S.U. del 2008 (c.d. di S.Martino) e nella copiosa giurisprudenza, anche di merito, successiva, al quale non si sottrae la decisione de qua.

E valga il vero.  

Un Tizio  aveva richiesto, tra l’altro, di essere risarcito del danno asseritamente subito in conseguenza della illegittima formazione ed approvazione della graduatoria per la copertura di un posto di medico di base in convenzione con il Comune di Palagano nonché per la inottemperanza alla decisione del Presidente della Repubblica 26/08/1993 di accoglimento del ricorso in relazione alla suddetta graduatoria. La vicenda in questione era approdata in Cassazione, su ricorso della Regione Emilia Romagna, dopo che la Corte di Appello di Bologna aveva riconosciuto il risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante e non anche quello non patrimoniale richiesto dal Tizio che per questo proponeva ricorso incidentale.

Per quanto qui interessa, quest’ultimo censurava la sentenza pronunciata da detta Corte territoriale perché non aveva ritenuto il danno non patrimoniale in re ipsa ed inoltre perché non aveva valutato le emergenze probatorie dalle quali risultava che questi “aveva subito stress, stato depressivo trauma psicologico , era sempre turbato, depresso e soprattutto dormiva malissimo”

Orbene, gli Ermellini ritengono corretta la pronuncia del Giudice di merito sulla base delle seguenti considerazioni.

 

  • Anche in caso di lesione di valori della persona il danno non può considerarsi in re ipsa – risultando altrimenti snaturata la funzione del risarcimento, che verrebbe ad essere concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno bensì quale pena privata per un comportamento lesivo- ma va allegato e provato dal danneggiato secondo la regola generale di cui all’art. 2697 C.C. E, ciò, in quanto l’onere della prova non dipende dalla relativa qualificazione in termini di danno conseguenza, dovendo tutti i danni extracontrattuali  essere provati da chi ne pretenda il risarcimento: compreso il danno non patrimoniale, nei suoi vari aspetti, che può essere dimostrato, d’altro canto, con ogni mezzo anche per presunzioni.
  • Con riferimento al danno esistenziale l’allegazione deve essere circostanziata e non già  purchessia formulata, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere del tutto generico  astratto, ipotetico (come nel caso di specie). In questo senso, recentemente anche Cass. 17/01/2018 n° 913.

 

Ma non basta una allegazione circostanziata dovendo la stessa far riferimento ad una lesione (quella subita dal soggetto danneggiato) avente un contenuto apprezzabile. Sarà compito del Giudice di merito individuare concretamente tale limite, che certamente non è fisso, ma lasciato al prudente apprezzamento del Giudice stesso, potendo variare anche in base al particolare momento storico, alla evoluzione della coscienza sociale di nuovi diritti, di valenza costituzionale, ricompresi nell’art. 2 Cost.

Devono in tale contesto escludersi dalla tutela risarcitoria i c.d. danni “bagatellari”, insuscettibili di incidere su valori presidiati costituzionalmente.

Ammonisce Cass. 2056/2018 che la risarcibilità del danno esistenziale presuppone un radicale cambiamento di vita, una alterazione/cambiamento della personalità del soggetto, in un vero e proprio sconvolgimento dell’esistenza che non potrebbe identificarsi in quello che è stato definito “sconvolgimento dell’agenda” o nella mera perdita delle abitudini e dei riti della quotidianità della vita ed in particolare  in quelli che devono considerarsi meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità.

Si coglie, dunque, nelle motivazioni della sentenza in commento, l’indicazione di come il Giudice debba procedere alla selezione di quelle situazioni idonee a permettere il riconoscimento del danno esistenziale, ravvisabili ogni qualvolta la lesione della personalità del soggetto danneggiato sia di contenuto apprezzabile e non ogni qualvolta si rappresenti una condizione spiacevole della vita.

Il semplice disagio, come detto, non può essere qualificato come danno ove si riveli attraverso una scontentezza generale risolvendosi in manifestazioni dell’umore variabili da soggetto a soggetto, caratteristica costante delle nostre azioni quotidiane.

Qualora il fastidio non raggiunga una soglia rilevante, da valutarsi sempre secondo il prudente apprezzamento del Giudice, limitandosi ad un senso di scontentezza, non potrà parlarsi di danno risarcibile.

Al riguardo, si potrebbe fare un esempio emblematico ricavabile da una recente decisione della Cassazione 2071/2017 n° 1606, nell’ambito di una fattispecie ex art. 844 CC, da cui si evince la risarcibilità del danno alla qualità della vita dovuta allo stress subito a causa delle moleste immissioni rumorose del vicino (nella specie si trattava di una lite fra due fratelli vicini di casa riguardante immissioni sonore e gas nocivi derivanti dagli strumenti di lavoro a causa della attività di una officina di lavorazione del ferro).

Il danno esistenziale, che nella accezione suddetta si traduce in un peggioramento della qualità della vita  laddove viene impedito al danneggiato di accedere a tutte quelle attività realizzatrici della persona umana, pur non essendo inquadrabile nel danno biologico, ha avuto un certo successo in campo  giuslavorista, in ipotesi di demansionamento, dequalificazione e mobbing, situazioni ritenute capaci di provocare un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) nel fare areddituale del soggetto che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (v. Cass. 05/12/2017 n° 29047).

Così, per fare altro esempio, nel campo infortunistico, un grave incidente di auto, che aveva costretto una giovane di 25 anni alla immobilizzazione sulla sedia a rotelle, è stato in grado  di determinare apprezzabili ripercussioni sulla normale vita di relazione dell’infortunata avuto riguardo alla capacità di procreazione, alla vita sessuale, alla possibilità di praticare sport ed altre analoghe attività (Cass. 19/01/2015 n° 777).

Così, ancora, un consolidato orientamento giurisprudenziale (da ultimo v. Cass. 17/01/2018 n° 907)  ha opinato che il pregiudizio esistenziale possa configurarsi nella ipotesi di perdita o compromissione del rapporto parentale, nel caso di morte o di grave invalidità del congiunto, poiché idonea a sostanziare “la privazione di un valore non economico, ma personale, costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, della definitiva preclusione delle singole relazioni interpersonali secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell’ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell’interesse protetto”.

E così via.

Come si vede, tale tipologia di danni, costituisce una categoria aperta suscettibile di ampliarsi a nuove fattispecie o restringersi escludendo casi prima ricompresi.

Aprile 2018 Avv. Antonio Arseni – Foro di Civitavecchia