QUANDO IL CONIUGE PUÒ OTTENERE IL RISARCIMENTO DEL DANNO PER LA ROTTURA DEL RAPPORTO MATRIMONIALE (Cass. 23/02/2018 n° 4470 ed altre) A cura dell’Avv. Renato Arseni – Foro di Civitavecchia

 

Spesso l’avvocato è sollecitato dal cliente – che a lui si rivolge per una questione di divorzio o separazione in un contesto in cui il rapporto dei coniugi è particolarmente aspro ed esacerbato in ragione delle cause che hanno determinato la fine dell’esperienza matrimoniale, sovente legate a vicende di tradimento – a trovare strumenti capaci di ristorare il torto subito per effetto del comportamento del coniuge, irrispettoso dei doveri nascenti dal matrimonio e di cui all’art. 143 c.p.c.

La questione è la seguente: la mancata osservanza del precetto contenuto nell’art. 143 CC da parte del coniuge può comportare la configurabilità di una responsabilità extra contrattuale ex art. 2043 CC?

Orbene, se in dottrina le posizioni sono diversificate, nella giurisprudenza di merito e di legittimità si assiste ad un sempre più crescente favore per il riconoscimento del c.d. illecito endofamiliare, termine che allude, per l’appunto, all’illecito commesso da un familiare (coniuge o genitore) a danno di altro soggetto appartenente alla stessa cerchia domestica (coniuge o figlio).

Una parte della dottrina (M. Finocchiaro e A. Zaccaria), nega l’ammissibilità dell’illecito endofamiliare sulla base della considerazione che la normativa generale prevista dall’art. 2043 CC, sarebbe inapplicabile ai rapporti ricadenti nell’ambito del diritto di famiglia dato che in materia sono previsti dei rimedi specifici per l’ipotesi della violazione dei doveri coniugali, in primo luogo l’addebito della separazione che, come è noto, determina gravi conseguenze, soprattutto sul piano economico.

In particolare, detta dottrina, con riferimento ad esempio al dovere di fedeltà,  sostiene che la sua violazione costituisce, in pratica, esercizio di un diritto di libertà, come tale inidoneo ad arrecare un danno che possa più propriamente considerarsi ingiusto, presupposto della tutela aquiliana ex art. 2043 CC.: in pratica la condotta tenuta in ossequio a quei doveri scaturenti dall’art. 143 CC, non sarebbe dotata del carattere della antigiuridicità.

Di contrario avviso altra autorevole dottrina (S. Patti, P. Morozzo della Rocca, M. Bona, G. Facci, M. Dogliatti, P. Cendon e G. Sebastio) secondo la quale non può escludersi che il fatto dannoso conservi la sua rilevanza tipica, ai fini della applicazione della normativa sull’illecito civile, per il solo fatto che esso possa rilevare quale causa di cessazione del rapporto coniugale.

La conferma di tale impostazione è fornita dalla Corte di Cassazione la quale, ad esempio, con sentenza 10/05/2005 n° 9810, ha affermato “che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio – laddove posta in essere attraverso condotte, che per la loro gravità si pongono come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona – non riceve la propria sanzione, in nome di una presunta specificità, completezza ed autosufficienza del diritto di famiglia, esclusivamente nelle misure tipiche previste da tale branca del diritto (come ad esempio la separazione con addebito) dovendosi, invece, predicare una strutturale compatibilità degli istituti del diritto di famiglia con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti; con la conseguente concorrente rilevanza di un dato comportamento sia ai fini della separazione o del divorzio e delle pertinenti statuizioni di natura patrimoniale, sia quale fatto generatore di responsabilità aquiliana”.

La previsione dei c.d. danni punitivi di cui all’art. 709 ter c.p.c. (introdotto dalla legge 54/2005 sull’affidamento condiviso) costituirebbe un argomento ulteriore a favore dei sostenitori dell’illecito endofamiliare laddove viene previsto che il genitore, responsabile di “gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento”, può essere condannato al risarcimento die danni nei confronti del figlio o dell’altro coniuge.

Nella giurisprudenza più recente, attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 CC, prevale l’opinione che riconosce la risarcibilità del danno derivante dalla violazione dell’obbligo di fedeltà sempreché tale violazione sia avvenuta tramite condotte idonee a determinare una lesione dei diritti fondamentali della persona.

A tal riguardo, appare eloquente una nota sentenza della Cassazione (15/09/2011 n° 18853) secondo cui “se l’obbligo di fedeltà viene violato in costanza di matrimonio, la sanzione tipica prevista dall’Ordinamento è costituita dall’addebito con le relative conseguenze giuridiche, ove la relativa violazione si ponga come causa determinante della separazione tra coniugi, non essendo detta violazione idonea e sufficiente di per sé ad integrare una responsabilità risarcitoria del coniuge che l’abbia compiuta né tantomeno del terzo, che al suddetto obbligo è del tutto estraneo”.

In questo senso,” laddove risulti che la violazione dei doveri coniugali abbia provocato, nell’ambito della sfera del soggetto danneggiato, la lesione di interessi meritevoli di tutela risarcitoria come ad esempio allorché la fedeltà, per le sue modalità, abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell’offesa, di per sé insita nella violazione dell’obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto”.

Nella fattispecie concreta, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento danni a favore della moglie che aveva dovuto subire le sofferenze per la relazione extraconiugale del marito, ampiamente pubblica e quindi particolarmente frustrante.

Su tale lunghezza d’onda si attesta Cass. 17/01/2012 n° 610 la quale, ribadendo i suesposti principi ed ammettendo la risarcibilità dei danni non patrimoniali subiti a causa della violazione dell’obbligo di fedeltà, tuttavia è stata costretta a respingere la domanda in quanto la vittima dell’illecito, nella specie la moglie, non aveva dimostrato che l’adulterio del marito era stato tale da determinare una lesione alla integrità psico-fisica della medesima ovvero dei suoi fondamentali diritti.

La Corte Regolatrice è nuovamente intervenuta di recente in subiecta materia con la decisione 23/02/2018 n° 4470, la quale ha ribadito che “i doveri derivanti dal matrimonio hanno natura giuridica e la relativa violazione, ove comporti una lesione di diritti costituzionalmente protetti, ben può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad una autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 CC”.

Ma attenzione, in quanto i pregiudizi, nella fattispecie esaminata dalla S.C. attinenti i diritti inviolabili della dignità e dell’onore, costituendo un danno conseguenza devono essere specificatamente allegati e provati non potendosi considerare in re ipsa.

Che poi debba farsi riferimento, ai fini del risarcimento del danno endofamiliare, ai diritti costituzionalmente garantiti – quali in una particolare fattispecie, il diritto alla dignità ed alla salute per effetto della modalità e circostanze nelle quali la moglie apprese, nel caso specifico, della esistenza di una figlia che il marito aveva avuto da una precedente relazione- è principio affermato della Corte di Cassazione in una sentenza pubblicata poco prima di quella in commento, laddove però si è escluso che i suddetti parametri possano configurarsi in ipotesi di perdita di un marito facoltoso (Cass. 03/08/2017 n° 19422). In buona sostanza, non potrebbe costituire motivo di risarcimento del danno la c.d. perdita di  chance del coniuge – nella fattispecie, la moglie- economicamente più debole, costretta a separarsi dal ” ricco” marito.

Aprile 2018 Avv. Renato Arseni Foro di Civitavecchia