RESPONSABILITÀ MEDICA DELLA STRUTTURA SANITARIA. DIFETTO DI LEGITTIMAZIONE AD CAUSAM E AD PROCESSUM (Tribunale di Civitavecchia 15/11/2016 1204).

RESPONSABILITÀ MEDICA DELLA STRUTTURA SANITARIA. DIFETTO DI LEGITTIMAZIONE AD CAUSAM E AD PROCESSUM  (SENTENZA TRIBUNALE CIVITAVECCHIA N° 1204-2016 RG N° 2015-2015)

A cura degli Avvocati Antonio Arseni, Giuseppe Puglisi Alibrandi e Paolo Mastrandrea – Foro di Civitavecchia

Il tema della responsabilità medica riveste particolare importanza nel nostro tempo in cui frequenti sono  i casi c.d. “di malasanità”, termine comunemente usato in tutte quelle ipotesi a cagione delle quali  il paziente riceve un danno per non aver ottenuto le cure e l’assistenza che avrebbe dovuto ricevere, secondo quelle che sono le linee guida delle singole specializzazioni e secondo la scienza medica.

Interventi chirurgici male eseguiti, diagnosi errate od intempestive, incidenti avvenuti nella struttura sanitaria, costituiscono la classica casistica che ha determinato un aumento del contenzioso, sia civile che penale.

L’attuale assetto giurisprudenziale, ormai da tempo consolidato (v. ex multis Cass. 03/02/2012 n° 1620; Cass. 12/12/2013 n° 27855; Cass. 16/12/2014 n° 26373; Cass. 20/03/2015 n° 5590 e Cass. 11/03/2016 n° 4764), definisce la responsabilità della struttura sanitaria od ospedaliera come una responsabilità da “contatto sociale  qualificato” il cui riferimento normativo è rappresentato dall’art. 1173 CC; disposizione che identifica come fonti delle obbligazioni quelle “che derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”.

In pratica, la Corte Regolatrice ha più volte affermato che nel momento in cui il paziente si reca semplicemente in ospedale ed il singolo medico lo prende in cura, viene data origine ad una obbligazione senza prestazione che si colloca ai confini tra contratto e torto, in quanto radicata, per l’appunto in un contatto sociale tra le parti che, dando adito ad un reciproco loro affidamento, è qualificato dall’obbligo della buona fede e dai correlati obblighi di informazione e protezione, del resto positivamente sanciti dagli artt. 1175, 1375, 1337 e 1387 CC.

In altro senso, secondo la giurisprudenza, l’accettazione del paziente in ospedale ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto atipico, il c.d. contratto di spedalità o di assistenza sanitaria, che comprende prestazioni primarie di carattere medico-sanitarie, ma anche prestazioni accessorie, quali vitto, alloggio, assistenza.

Eloquente appare, nell’ambito della teoretica del contatto sociale, come fonte di obbligazioni, la recente pronuncia della Corte Regolatrice (12/07/2016 n° 14188) che individua in simili situazioni “un rapporto obbligatorio connotato non da obblighi di prestazione, come accade nelle obbligazioni che trovano la loro causa in un contratto, bensì da obblighi di protezione, egualmente riconducibili, sebbene manchi un atto negoziale, ad una responsabilità diversa da quella aquiliana e prossima a quelle contrattuale poiché ancorabili a quei fatti ed atti idonei a produrli, costituente la terza fonte delle obbligazioni menzionata dall’art. 1173 CC.

Si tratterebbe, dunque di una terza via, quella tracciata dall’art. 1173 CC, una sorta di contenitore per quelle peculiari situazioni non inquadrabili né nel torto né nel contratto, che affonderebbe, invero, le proprie radici nel quasi contractus del diritto romano post-classico, identificabile proprio in quegli atti o fatti che hanno in comune il carattere negativo di non essere contratti in senso proprio, ma nei quali vi è comunque un contatto fra le parti idoneo al sorgere di una obbligazione in qualche modo assimilabile a quella contrattuale.

In buona sostanza, nelle suddette ipotesi sarebbero configurabili rapporti contrattuali di fatto, senza che vi sia un vero e proprio contratto in cui, come detto, si applicano, in ordine alla responsabilità per inadempimento, le regole dettate per la responsabilità contrattuale con marcate differenze e conseguenze: 1) in tema di prescrizione si applicherebbe quella decennale e non quinquennale come nella responsabilità extracontrattuale; 2) in tema di prevedibilità del danno nella responsabilità contrattuale la prova dell’elemento soggettivo dell’illecito è presunta salvo quella contraria; 3) con riguardo all’onere probatorio delle parti, il danneggiato deve provare, nella responsabilità ex contractu, l’esistenza del negozio e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno (v. Cass. 577/2008 e Cass. 23562/2011), mentre la struttura sanitaria è tenuta a dimostrare che non vi è stato inadempimento, o che lo stesso non è stato eziologicamente rilevante, laddove, al contrario, nella responsabilità aquiliana deve dimostrare tutti gli elementi di cui all’art. 2043 CC (condotta colposa o dolosa, nesso causale, danno ingiusto), con la conseguenza che, difettando uno di essi, la domanda di risarcimento non potrebbe essere accolta (v. Cass. 2422/2014).

Normalmente gli Enti Ospedalieri chiamati a rispondere di un evento pregiudizievole arrecato ad un paziente tendono a negare le responsabilità dei propri medici dipendenti della struttura, ai quali è riconducibile, per negligenza professionale, il danno sofferto.

Di qui il contenzioso come già detto,  notevolmente aumentato in questi ultimi anni, nonostante lo strumento deflattivo del tentativo di mediazione ex L. 28/2010, previsto a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, dato il fallimento che si registra nella maggior parte dei casi.

Non è infrequente, però, il caso in cui la successiva lite abbia esiti negativi non tanto nel merito, quanto in rito, potendo accadere che il danneggiato/attore non identifichi il giusto contraddittore, come nel caso deciso dal Tribunale di Civitavecchia nella sentenza 1204/2016, che per l’appunto ha  definito la controversia in  limine litis, come si dice in gergo, ritenendo  che la struttura sanitaria  fosse stata evocata in giudizio inammissibilmente in quanto soggetto non legittimato passivamente.

La decisione appare significativa in quanto il Tribunale, per l’appunto, ha ritenuto necessario   valutare preliminarmente i presupposti processuali della domanda in relazione alla figura dei c.d. presidi ospedalieri non dotati normalmente di soggettività e personalità giuridica, come, nella specie, l’Ospedale Bambino Gesù di Palidoro: raramente, invero, evocato in giudizi di responsabilità medica , evidentemente per la bravura e competenza del personale sanitario che hanno permesso al noto Nosocomio (un Istituto di cura e ricerca scientifica) di meritare attestati e riconoscimenti tali da rappresentare una eccellenza nel panorama sanitario italiano.

Di conseguenza, il fatto che l’Ospedale in questione venga chiamato in giudizio, è da ritenersi circostanza importante in quanto gli esiti relativi sono in grado di costituire importanti precedenti, in un contesto in cui non si rinviene una pluralità di casi simili a quello de quo, capaci quindi di meglio orientare gli operatori del diritto.

La vicenda trattata dal Tribunale di Civitavecchia, aveva riguardato una domanda risarcitoria in cui si assumeva una responsabilità dei sanitari della struttura ospedaliera de qua nella esecuzione di un intervento chirurgico di nucleo-discectomia eseguito sulla persona dell’attore nel 2010.

Ebbene, proprio sulla scorta delle prospettazioni dell’attore, giustamente il Tribunale si è posto l’interrogativo se l’Ospedale fosse legittimato passivamente, fornendo una risposta negativa, attraverso una articolata motivazione, che ha recepito il consolidato orientamento giurisprudenziale in subiecta materia, che è bene ripercorrere nei suoi tratti salienti.

Il tema è quello legato alla responsabilità del presidio o struttura sanitaria che, dal punto di vista sostanziale, come infra ricordato, può essere ritenuta responsabile per negligenza ed imperizia dei sanitari, i quali operano all’interno di essa, in ragione del grave inadempimento a quel contratto atipico di spedalità di cui si è già detto.

Nulla vieta, dunque, che la struttura sanitaria, o presidio ospedaliero, possa rispondere del danno sofferto dal paziente e legittimamente essere evocata in giudizio, al fine di ottenere un titolo risarcitorio nei confronti della stessa. Purtuttavia, occorre che la struttura/presidio sia costituita in Azienda Ospedaliera dotata di soggettività e personalità giuridica perché, altrimenti, essa sarebbe priva di legittimazione (ad causam e ad processum), come il Tribunale di Civitavecchia ha opinato per quanto riguarda l’Ospedale Bambino Gesù di Palidoro.

E ciò sulla base delle seguenti argomentazioni che supporterebbero la decisione adottata.

Esse muovono dalla giusta considerazione che il Giudice è tenuto in primo luogo a verificare che il processo possa venire in essere e possa procedere, anziché arrestarsi, fino alla decisione nel merito della controversia. E ciò accade quando il Giudice riscontri, nella fattispecie sottoposta al suo scrutinio, la ricorrenza della capacità processuale delle parti che costituisce un presupposto dell’azione. Nel senso che il Giudice è tenuto, potendolo fare per effetto dei poteri officiosi attribuitigli dalla legge, ad accertare il rispetto delle disposizioni in materia di capacità processuale e, se ricorre un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione, assegna alle parti stesse un termine per la sanatoria del vizio.

Ma l’attitudine del processo a pervenire ad una decisione è data anche dalla presenza di quelle che sono chiamate condizioni nell’azione e che si risolvono sostanzialmente nella c.d. legittimatio ad causam attiva e passiva. Essa consiste, secondo quell’indirizzo giurisprudenziale sancito dalle S.U. della Cassazione con la pronuncia 16/02/2016 n° 2951, “nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del Giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento. Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito alcun esame d’ufficio, poiché la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata.

La legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione della azione, si fonda – dunque – esclusivamente sulla allegazione fatta in domanda ed una concreta e autonoma questione intorno a essa si delinea soltanto quando l’attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronuncia contro il convenuto pur deducendo la relativa estraneità al rapporto sostanziale controverso”.

Sintetizzando, mentre la legittimazione ad agire attiene al diritto di azione che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare e la sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio, e rilevata d’ufficio dal Giudice, altra cosa è la titolarità della posizione soggettiva vantata nel giudizio stesso, la cui relativa questione attiene al merito della causa.

La distinzione fra legittimatio ad processum (individuata dall’art. 75 c.p.c.) e legittimatio ad causam (nel senso appena indicato) corrisponderebbe, secondo la nota concezione di matrice Chiovendiana (v. Chiovenda Principi di diritto processuale civile – Le azioni. Il processo di cognizione – Napoli 1965 p. 578 e segg.) a quella sostanziale tra capacità di agire e  capacità giuridica. Nel senso che la capacità processuale (o legittimatio ad processum) coinciderebbe, in linea tendenziale, con la capacità di agire connotandosi come la capacità di compiere atti processuali con effetti giuridici in nome proprio o per conto altrui, mentre la capacità di essere parte (legittimatio ad causam) non sarebbe altro che la trasposizione nel processo della capacità giuridica.

Nel caso di specie, il Tribunale di Civitavecchia ha riscontrato un difetto di legittimazione ad causam sulla base della non corrispondenza tra i soggetti del processo ed i soggetti  destinatari della pronuncia invocata, laddove è stato escluso che l’Ospedale Bambino Gesù Presidio di Palidoro fosse dotato di quella capacità di essere parte, ossia la capacità giuridica sul piano processuale, che compete all’Ente Ecclesiastico in quanto dotato di personalità giuridica e non già alla struttura ospedaliera di esso volta a realizzarne le finalità istituzionali, le quali non danno luogo ad un autonomo soggetto giuridico.

Il Tribunale ha anche rilevato, sulla scorta delle prospettazioni attoree, che la domanda dovesse ritenersi inammissibile non solo per difetto di legittimazione ad causam del soggetto evocato in giudizio, ma anche per difetto della capacità/legittimazione processuale.

La sentenza in commento segue, expressis verbis, le indicazioni nomofilattiche della Cassazione, contenute in special modo nelle decisioni 3249/1994 e 25813/2011 pronunciate dalla Sezione Lavoro in fattispecie diverse ma enuncianti il principio (generale) circa la riferibilità della capacità giuridica sul piano processuale all’Ente Ecclesiastico riconosciuto civilmente e non alle sue strutture.

Ma nello specifico caso dell’Ospedale Bambino Gesù  Presidio di Palidoro, pur nella esiguità (a quanto consta) di precedenti giurisprudenziali (la maggior parte, invero, riguardanti questioni di giurisdizione a favore del Giudice Italiano), merita di segnalarsi l’apparente diversità di opinioni che potrebbe dare adito a dubbi interpretativi sulla questione specifica del difetto di legittimazione ad causam ed ad processum, riscontrato dal Tribunale di Civitavecchia.

Ed invero, più di una volta la Corte Regolatrice, a cominciare dalla pronuncia a S.U. 28/09/1985 n° 4727 per continuare con quelle adottate il 02/05/2006 n° 10119 ed il 20/02/2013 n° 4144, ha potuto affermare che l’Ospedale Bambino Gesù  manca di autonoma personalità giuridica e configura una entità della Santa Sede.

Purtuttavia, è bene segnalare che la stessa Cassazione, con la decisione 14/06/1994 n° 5766, ha elaborato un diverso pensiero in ordine alla configurazione dell’Ospedale Bambino Gesù come soggetto sfornito di autonoma personalità giuridica, che sembra lasciare insoluta la questione relativa al difetto di legittimazione dello stesso, come sopra ricordato.

In tale contesto, non è senza importanza, dunque, il contributo della sentenza in commento del Tribunale di Civitavecchia.

Ed invero, la Cassazione nella decisione citata 5766/1994, afferma testualmente, nella parte motiva, quanto segue.

In base a quanto è stato accertato dal Tribunale (senza che su tale accertamento sia stata formulata alcuna censura da parte del ricorrente), l’Ospedale del Bambino Gesù, che era stato istituito nel 1869 su iniziativa di una nobile famiglia italiana con finalità di assistenza e beneficenza (“la cura di poveri bambini infermi”), nell’anno 1924 è stato ceduto alla Santa Sede; e il Pontefice del tempo, con il chirografo di accettazione del 24 gennaio 1924, nel quale è stata tenuta ferma la suddetta finalità, ha espressamente stabilito che l’Ospedale veniva affidato al Cardinale Vicario con il compito di vigilare sulla sua attività e che il governo del medesimo doveva essere conferito dal Cardinale Vicario a una Commissione di nove membri, “il cui presidente avrebbe avuto, a tutti gli effetti legali, di fronte ai terzi, la veste di legittimo rappresentante dell’Ospedale”.

Il Tribunale ha altresì accertato a mezzo “della documentazione acquisita e delle informazioni ricevute ai sensi dell’art. 213 c.p.c.” (e nemmeno su questo ulteriore accertamento v’è ora censura in sede di legittimità) l’esistenza delle seguenti circostanze di fatto in capo all’Ospedale: la stipulazione di una convenzione con la Regione Lazio avente per oggetto l’erogazione della assistenza ospedaliera; la titolarità di una posizione contributiva INPS come datore di lavoro; la titolarità dei rapporti di lavoro con i propri dipendenti (che “assume, gestisce, licenzia sulla base di una complessa regolamentazione”); la sottoscrizione di accordi integrativi con le Organizzazioni sindacali in materia di trattamento economico con il personale.

Da tali accertamenti nella sentenza impugnata è stata tratta la conseguenza che, sebbene nel suddetto chirografo del 1924 l’Ospedale sia stato definito “cosa della Santa Sede e benché debba escludersi che l’Ospedale medesimo sia formalmente dotato di personalità giuridica nell’ordinamento italiano (non possedendo esso tale personalità nell’ordinamento canonico), tuttavia la complessa organizzazione, operante al fine del potere dei suoi organi e, in particolare, del presidente della Commissione (di rappresentanza nei confronti dei terzi) sono tali da far ritenere che l’Ospedale medesimo costituisca un centro di interessi che agisce come soggetto giuridico nell’ordinamento italiano. E, del resto, ha aggiunto il Tribunale, se si riconosce che l’Ospedale può stipulare all’interno dell’ordinamento giuridico atti di autonomia privata (come risulta dalle convenzioni sopra indicate), si deve parimenti riconoscere che lo stesso è passivamente legittimato ad agire o a resistere in giudizio nel caso di controversia relativa a tali convenzioni.

Tali conclusioni, inerenti sia alla individuazione dell’Ospedale come un autonomo centro di interessi operante nell’ordinamento italiano, sia del soggetto che legittimamente è stato convenuto nel presente giudizio per rappresentarlo, debbono essere condivise, nel senso che fermo restando che l’Ospedale medesimo non può essere definito come un ente dotato di personalità giuridica, tuttavia, attesi i compiti dallo stesso perseguiti all’interno del nostro ordinamento per mezzo degli atti di autonomia privata accertati nella fase di merito, non può negarsi che per la Santa Sede (e, quindi, per lo Stato italiano in cui l’Ospedale opera), esista un soggetto giuridico legittimato non solo a porre in essere gli atti suddetti, ma anche ad assumere la qualità di parte nei giudizi che lo riguardano; e tale soggetto giuridico (sempre per quanto concerne l’ordinamento italiano) è validamente rappresentato non già dal Cardinale Vicario in base alla tesi adombrata dalla difesa del ricorrente – bensì dagli organi rappresentativi legittimamente da questo nominati. Di tal che, come è stato già deciso da questa Corte, si deve affermare che, in base al chirografo del 1924 sopra indicato, l’Ospedale del Bambino Gesù, pur costituendo un bene della Santa Sede, è validamente rappresentato di fronte ai terzi dal suo presidente pro-tempore, il quale del tutto legittimamente può essere convenuto in giudizio nelle controversie che riguardano l’Ospedale medesimo (Cass. Sez. Un. 19 novembre 1985 n° 5680).

Quid iuris allora?

Riteniamo  che possano prospettarsi, sulla base delle superiori argomentazioni, le conclusioni che seguono.

Allorchè si vuol far valere un caso di responsabilità medica della struttura Sanitaria, quale quella dell’ Ospedale Bambin Gesu, non potrebbe evocarsi in giudizio il presidio sanitario non costituito in azienda Ospedaliera, e quindi privo di soggettività e personalità giuridica, ma l’Ospedale stesso – laddove si intende aderire all’opinione che lo vede quale centro autonomo di interessi operante nell’Ordinamento italiano, così definito nella decisione della S.C. appena citata- ovvero l’Ente Ecclesiastico di riferimento, in caso contrario.

Nella specie, considerato che la domanda è stata proposta nei confronti di un presidio, quello di Palidoro,  dell’Ospedale Bambin Gesù sembra del tutto corretta la decisione del Tribunale di Civitavecchia per  l’accertato difetto  della legittimatio ad causam e ad processum.

 

Marzo 2017. A cura degli Avvocati Antonio Arseni, Giuseppe Puglisi Alibrandi e Paolo Mastrandrea -Foro di Civitavecchia