Sulla fungibilità delle azioni di risoluzione/risarcimento e di recesso/ritenzione della caparra confirmatoria esperibili nei confronti del contraente inadempiente (Cass. 31.01.2019 n.2969) A cura del’Avv. Antonio Arseni – Foro di Civitavecchia

Nella pratica forense ancora è d’uso, nella citazione in giudizio, accompagnare la dichiarazione di ritenzione della caparra, ovvero la richiesta di pagamento del doppio, ad una domanda di risoluzione contrattuale anziché di accertamento ed affermazione della legittimità dell’esercitato diritto di recesso, venendo, quest’ultima, spesso introdotta in corso di causa a modificazione (non consentita) di quella risolutiva.

Che il tema sia di attualità è dimostrato dal fatto che la Corte Regolatrice continua ad occuparsi della questione, da ultimo con la decisione 2969/2019 in commento, ripetendo concetti più volte ripetuti in passato anche recente. In particolare, quelli magistralmente espressi dalle Sezioni Unite con la pronuncia 553/2009, esplicitamente richiamata, laddove viene sottolineato come la domanda diretta all’accertamento della legittimità del recesso ed alla condanna al pagamento del doppio della caparra (quando il soggetto inadempiente è colui che la ha ricevuta) ed , egualmente, quella diretta a dichiarare la correttezza della sua ritenzione (quando il soggetto inadempiente è viceversa colui che l’ha data), sebbene sia diversa dalla domanda di risoluzione per inadempimento, implichi il medesimo effetto della estinzione (con efficacia ex tunc) del contratto.

Il diritto di recesso, continua la S.C. “è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto che presuppone pur sempre l’inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri di quello che giustifica la risoluzione giudiziale”.

Trattasi di una speciale modalità per risolvere il contratto, attuabile senza dover proporre azione giudiziale o intimare una diffida (dottrina assolutamente dominante, F.Galgano, C.M.Bianca; G. Mirabelli, in giurisprudenza, cfr. Cass. 13/11/1982 n° 6047, Cass. 14/03/1988 n° 2435 e Cass. S.U. 553/2009). In questo senso, a fronte dell’inadempimento dell’altro contraente, quello non inadempiente, può ottenere lo scioglimento del rapporto negoziale attraverso una mera comunicazione da far pervenire all’altra parte (trattasi di atto ricettizio), in cui viene chiaramente esplicitata la volontà di avvalersi del diritto di recesso in questione, escludendosi quindi che detta volontà possa esprimersi per facta concludentia.

Al recesso de quo, da considerarsi legale, non si applica l’art. 1373, 1° co. CC , dettato in particolare per quello convenzionale: quindi esso è esercitabile anche quando il contratto abbia avuto un principio di esecuzione (cfr ex multis Cass. 06/05/1988 n° 3321, Cass. 28/12/1993 n° 12860).

La risoluzione del contratto sarà dunque l’effetto della dichiarazione del contraente non inadempiente , ragion per cui se fosse necessario l’intervento del Giudice, questi dovrà accertare con sentenza dichiarativa (a differenza della c.d. risoluzione pura che al contrario è costitutiva) che la risoluzione è già avvenuta.

La specialità dello strumento di risoluzione negoziale, quale emergente dal suddetto meccanismo previsto dal 2° comma dell’art. 1385 CC, postula comunque – affinché possano operare gli effetti caducatori e risarcitori correlati alla dazione di una somma a titolo di caparra confirmatoria,- l’esistenza di un inadempimento gravemente colpevole, ossia un inadempimento imputabile (ex art. 1218 e 1256 CC) e non di scarsa importanza (art. 1455 CC).

Ed invero, afferma la Corte Regolatrice, nella sentenza del 23/01/1989 n° 398 (ma vedi anche Cass. 09/05/2016 n° 9317), che “la disciplina dettata dall’art. 1385, 2° co. CC. in tema di recesso per inadempimento, nell’ipotesi in cui sia stata versata una caparra confirmatoria, non deroga affatto alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, consentendo il recesso di una parte solo quando l’inadempimento della controparte non sia colpevole e non di scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente”.

In questo senso, nell’indagine sull’inadempienza contrattuale, da compiersi al fine di stabilire se ed a chi spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione; occorre, in ogni caso, una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo di stabilire quale di essi abbia fatto venire meno , con il proprio comportamento, l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio (così Cass. S.U. 553/2009 già citata).

Dunque, a fronte di un inadempimento imputabile e non di scarsa importanza – requisiti che accomunano (insieme alla caducazione ex tunc degli effetti del contratto) le due ipotesi di recesso e risoluzione – il contraente non inadempiente ha la possibilità (laddove prevista nel contratto la pattuizione del diritto di recesso accompagnata da quella accessoria della caparra confirmatoria) di ricorrere ai due rimedi che sono alternativi: la parte che “ha ragione” può scegliere di avvalersi del rimedio previsto dal 2° comma dell’art. 1385 CC (il recesso/risoluzione ritenendo la caparra o chiedendo il doppio della stessa, nel primo caso se l’ha ricevuta, nel secondo caso se l’ha data) oppure può chiedere la risoluzione (o esecuzione) del contratto, ma in tal caso il risarcimento danni è regolato dalle norme generali.

Trattasi di una scelta, quella fatta dalla parte non inadempiente, tra due assetti di interessi: i due rimedi non possono farsi valere cumulativamente.

Il solo fatto dell’inadempimento qualificato, come detto, fa sorgere in capo al contraente che l’ha subito, la possibilità di sciogliere (attraverso il recesso) il rapporto negoziale e di ottenere la caparra laddove pattuita: quest’ultima assolve alla evidente funzione di preventiva liquidazione del danno subito da una parte a causa dell’inadempimento dell’altra, accostandola, sotto tale profilo alla clausola penale, di cui ne condividerebbe l’aspetto sanzionatorio (in dottrina A. Marini voce Caparra in C.M. Bianco, Diritto Civile 1999 vol. 5): dalla quale, purtuttavia, si differenzierebbe in quanto nella clausola penale vi è un limite al danno risarcibile, che vincola le parti a meno che, le stesse, non abbiano convenuto la risarcibilità del danno ulteriore (ex art. 1382 CC), mentre nella caparra confirmatoria la predeterminazione del danno non vincola la parte non inadempiente, la quale può scegliere altro percorso per soddisfare i propri interessi optando per la esecuzione del contratto o la sua risoluzione per via giudiziale oltre che il risarcimento danni secondo le regole generali (v. art. 1382).

La parte non inadempiente che intenda orientare la propria scelta nel senso disciplinato dall’art. 1385, 2° comma, può giovarsi, come per la penale (v. art. 1382, 2° comma CC) del vantaggio di non dover fornire la prova del danno..

Abbiamo detto che la scelta di esercitare il diritto di recesso legale, soprattutto nei casi in cui il recedente è colui che ha ricevuto la caparra, potrebbe essere più vantaggiosa : permettendo una composizione spedita, senza oneri probatori in ordine ai danni subiti rispetto a quella diretta ad ottenere la risoluzione contrattuale per via giudiziale.

Va considerato, però, che la seconda delle due opzioni garantirebbe il risarcimento del danno effettivo che potrebbe essere maggiore alla misura della caparra confirmatoria. Ma anche inferiore perché il creditore non riesce a dimostrare il danno.

Trattasi, all’evidenza, di una scelta che deve essere ponderata ed effettuata sulla base degli elementi che la parte ha a disposizione, il cui attento scrutinio si rende necessario per valutarne l’efficacia probatoria, anche attraverso un calcolo probabilistico.

E ciò in quanto il soggetto non inadempiente, una volta fatta una scelta in una piuttosto che nell’altra direzione, non può cambiare idea.

Ma “quando” può essere operata detta scelta?

La problematica investa questioni dibattute in dottrina e in giurisprudenza, tanto sotto il profilo del diritto sostanziale quanto di quello processuale.

Al riguardo, vanno sinteticamente ricordati i seguenti principi.

Va premesso che, qualora le parti, con riferimento al versamento di una somma di denaro effettuato al momento della conclusione di un contratto, abbiano adoperato la locuzione “caparra confirmatoria” la relativa dazione deve intendersi avvenuta a tale titolo, secondo il criterio ermeneutico del significato letterale salvo la presenza di circostanze o di situazioni oggettive di segno opposto che evidenziano l’uso improprio di tale espressione o di non aderenza alla situazione oggettiva (Cass. 25/05/2018 n° 12423).

Nel dubbio, se la somma sia stata versata a titolo di acconto o nel senso di caparra, si deve propendere per quest’ultima ipotesi (Cass. 22/08/1977 n° 3833; Tribunale di Modena 22/03/2011 n° 367; Tribunale di Isernia 20/03/2018 n° 171 le ultime due pubblicate su Giuffrè De Jure 2011 e 2018).

Ciò posto, è stato in pratica ritenuto dalla dottrina e in giurisprudenza che il momento in cui il contraente non inadempiente potrebbe “ritornare” sui suoi passi, agendo per la risoluzione anziché attraverso l’esercizio del diritto di recesso o viceversa debba essere identificato con la notifica dell’atto introduttivo del giudizio.

Ragion per cui colui che, ricevuta la caparra confirmatoria, si sia avvalso della facoltà di provocare la risoluzione del contratto mediante diffida ad adempiere “ante causam” può, in seguito, agire in giudizio rinunciando all’effetto risolutivo ed esercitando il diritto di recesso, posto che il divieto di modifica della domanda vale solo per quella giurisdizionale già proposta (v. Cass. 26/05/1989 n° 2557; Cass.18/11/2002 n° 16221; Cass. 21/02/2013 n° 358 da ultimo Cass. 03/11/2017 n° 26206, Tribunale di Reggio Emilia 02/02/2013 n° 358, Tribunale di Treviso 19/03/2013 n° 542).

Sotto tale profilo deve dunque considerarsi domanda nuova inammissibile e non una mera emendatio la modifica in corso del giudizio della originaria richiesta nel contesto delle due rigide alternative (recesso/risoluzione) di cui si è detto, tra le quali non sussiste identità di azione e, quindi, di petitum, laddove, nella prima, la modificazione giuridica che viene postulata scaturisce da una sentenza dichiarativa mentre, nella seconda, da una sentenza costitutiva(v. ex multis Cass. S.U. 14/01/2009 n° 553 già citata).

Diversa è l’ipotesi in cui, ai sensi dell’art. 1385, 3° comma, la parte abbia agito per l’esecuzione del contratto: in tal caso essa può, in sostituzione dell’originaria pretesa, legittimamente chiedere, nel corso del giudizio, il recesso del contratto ex art. 1385, 2° co. CC , senza incorrere nelle preclusioni dei “nova” poiché tale modificazione della originaria istanza costituisce legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda di adempimento.

In tal senso cfr. anche Cass. 24/11/2011 n° 24841, in una fattispecie in cui un promittente venditore di un bene immobile citava in giudizio il promittente acquirente, chiedendo la esecuzione in forma specifica (ex art. 2932 CC) dell’obbligo di concludere il contratto di compravendita.

La parte promittente venditrice, nel corso del giudizio, modificava la richiesta invocando la facoltà di recesso tenendo sempre in considerazione l’inadempimento della controparte (conforme Cass. 03/02/2015 n° 1901 e da ultimo Cass. 16/01/2018 n° 882).

Giugno 2019. Avv. Antonio Arseni-Foro di Civitavecchia